Concorso di progettazione
Complesso parrocchiale S. Maria d’Acquaviva
Arcidiocesi Metropolitana di Catanzaro-Squillace
Simeri Crichi (CZ) - 2020
La ricerca di un intenso dialogo con il paesaggio, da un canto carico di significati sacri ma d’altro canto già contaminato da recenti e poco significativi edifici, ha portato a ideare il nuovo complesso parrocchiale come occasione di strutturare quei seppur deboli segni già riscontrabili. Il nuovo complesso sarà un villaggio, che innestandosi nell’impianto di quei piccoli edifici pubblici comunali, irradierà nel paesaggio urbano una rete di percorsi, fisici e concettuali, per legarli e riportarli ai lati di una piazza, al cui centro c’è la nuova Chiesa, mistero di comunione e popolo di Dio (SC 6.10; LG 4.9.13; GS 40.43), casa della comunità parrocchiale ma anche luogo di incontro e aggregazione dell’intera Simeri Mare. Nella sua più recente formazione urbana, la frazione non ha ancora travato un suo polo di attrazione e i corpi in cui si articolerà il complesso, allineati con le direzioni scandite dagli edifici esistenti e dai percorsi che li collegano, forma una cavità, dove c’è l’attuale chiesetta, che dalla strada si immerge tra gli ulivi e sarà il centro vitale della Comunità in tutte quelle funzioni religiose e sociali, di cui sente ora incessante bisogno.
Un paesaggio quasi piano, un uliveto che degrada dolcemente verso il mare, costruisce una maglia di riferimenti antichi e sacri, che il nuovo villaggio ordisce e orienta verso l’elemento cardine che sarà la nuova chiesa: Il popolo eletto è come un olivo verdeggiante (Ger 11,16). Un paesaggio sacro: II Signore tuo Dio sta per farti entrare in un paese fertile ... paese di ulivi… (Dt 8,8; 2 Re 18,32) e segnato dall’orizzontalità della terra verdeggiante, che viene assecondata dalla trama dei nuovi volumi, scandita già dai tre bassi edifici porticati esistenti. Infatti è la linearità di tutti i corpi e l’orizzontalità delle loro coperture che, tranne il campanile, scontato landmark urbano che protende verso la chiesa, segna il centro della nuova piazza e domina il degradare degli altri edifici a partire dalla navata della chiesa.
La presenza a Simeri Crichi della Collegiata di Sanata Maria dell’Itria e la dedicazione della Chiesa a San Bartolomeo da Simeri hanno ispirato il tracciato dell’impianto basilicale e conventuale, per ancorarlo al tessuto esistente. La navata centrale e i corpi laterali, allineati in una ideale navatella che si apre aggettante sulla piazza, al cui centro domina una fonte d’acqua con un grande ulivo, è in realtà il centro di un chiostro, aperto verso la strada e tagliato obliquamente dalla basilica stessa, che converge in fondo verso la Cappella Feriale e sottostà al grande sbalzo del primo piano delle aule, contemporanea rilettura del porticato di un convento basiliano fondato da San Bartolomeo nel XII secolo.
L’inclinazione del tracciato degli edifici esistenti rispetto alla strada, punto di arrivo e ingresso a tutti i corpi del complesso, detta il taglio di volumi e spazi aperti: al centro il sagrato e più arretrata la navata della chiesa con i suoi corpi laterali; immediatamente a destra il corpo della sagrestia, poi il salone parrocchiale e poi la canonica, attraversati e connessi da corpi che sono anche percorsi coperti nel verde e che portano direttamente ai viali retrostanti. A sinistra, la scansione ritmata dei tre volumi che ospitano il battistero, la penitenzeria e la cappella Mariana, sospesi sull’acqua, che dal centro della piazza entra solo prospetticamente, separata da una lastra di vetro, fino a lambire la navata; in fondo la Cappella feriale e a sinistra le aule su due livelli, ruotate rispetto all’asse della Chiesa, per chiudere riallineando il complesso con la strada e col fronte verso il mare.
Dal lato della strada, la chiusura del chiostro-piazza è data dall’allineamento dei filari di ulivi esistenti e dalla prospettiva del taglio dei corpi sporgenti rispetto al piano del sagrato: tutto lo spazio aperto così definito è in realtà un ampliamento del sagrato, dove sarà possibile accogliere processioni come quelle della Naca e altri riti religiosi o eventi cari alla Comunità.
L’orientamento della Chiesa la rende ben visibile dalla strada e la sua facciata, con la grande porta centrale, tra i due blocchi laterali, porta al centro una grande croce a tutta altezza, che rende ancora più esplicito l’edificio religioso, già di per sé riconoscibile nella sagoma rettangolare della navata e nelle sporgenze dell’area presbiteriale, una rilettura del transetto, il tutto perfettamente simmetrico rispetto alla sporgenza ed elevazione dello spazio absidale. Le campane aggiungono un segno indelebile alla già di per sé simbolica vicinanza alla chiesa del campanile che protende verso questa, e spinto di più verso l’alto dal lungo taglio verticale.
L’impianto liturgico dell’aula consente di celebrare il mistero pasquale di Cristo, per ritus et preces (SC 48), l’azione sacramentale della Chiesa congiunta al Cristo glorificato. Il punto focale dell’aula liturgica è l’altare su cui converge e si orienta la partecipazione di tutta l’assemblea. Questa radunata entra attraverso la porta, segno di Cristo, passando per la prima volta dall’acqua che rigenera e dà vita, il battesimo da celebrarsi o per infusione o per immersione; o passando attraverso il secondo lavacro, la riconciliazione, attraverso le lacrime della penitenza. La Comunità vi si raduna per celebrare il mistero della vita, che contempla visibilmente, nelle offerte sull’altare, simbolo di Cristo e nell’iconografia posta nell’abside che celebra la trasfigurazione di ogni cosa, attesa dalla comunità radunata, vissuta nella Gerusalemme celeste.
Anche la mensa della Parola, che prepara all’intelligenza del mistero e al nutrimento de corpo del Signore, è luogo eminente posto in alto perché la Parola, fatta carne, è uscita dal seno del Padre sia accolta e poi vissuta. La presenza della Madre di Dio e l’immagine di san Bartolomeo poste all’interno dell’aula liturgica, rivelano la realtà propria della loro presenza nella Chiesa, Maria congiunta in modo indissolubile all’opera di salvezza del suo Figlio (SC 103) e la memoria dei santi rende visibile il mistero pasquale di Cristo vissuto nella loro vita, così da imitarlo e invocare.
Crediti
Progetto: Giuseppe Pellitteri, Massimo Macaluso, Dario Riccobono
Collaboratori: Giulia De Francisci, Alessio Pallozzi Lavorante
Artista: Enzo Venezia
Consulente: Pietro Li Castri
Liturgista: Don Liborio Lauricella Ninotta
Concorso di progettazione
Campus di Ingegneria “Enzo Ferrari”
Università di Modena e Reggio Emilia
Modena - 2018
Il campus universitario è stato insediato ed è cresciuto entro un recinto isolato nella città, come per tutti gli ambiti specialistici di un’epoca ormai chiusa. Il suo sviluppo centrale tutto interno, strade, piazza, edifici, non trova poi sbocco verso il resto della città, isolato benché immerso nel verde, cinto per lo più da strade. Il progetto del Nuovo Padiglione, nell’area libera del Campus verso via Gottardi, è l’occasione per costruire un nuovo rapporto con la città, attraverso un accesso che non deve essere un semplice ingresso ma deve essere l’occasione per superare quello che perora sembra essere un varco, quasi invalicabile per chi si addentra nella complessità del sapere tecnologico e scientifico. Per l’edificio, è richiesto proprio che costituita un importante punto d’ingresso a tutto il campus “Enzo Ferrari”, all’interno però di un’area che rimane sempre un’enclave. Secondo il PP, gli edifici si sarebbero dovuti sviluppare lungo la via ove si affaccia la stecca di edifici del Dipartimento, fino ad arrivare al grande piazzale del terminale Autobus di via Gottardi. L’idea iniziale, di proseguire la stecca di edifici fino al piazzale e di contrapporne altri lungo la strada, non è mai stata realizzata, anzi le varianti apportate hanno accentuato tale mancanza. Addirittura il più recente centro di Medicina Rigenerativa è stato realizzato staccato dal resto e arretrato sia dalla strada, sia dal piazzale d’arrivo, quasi a voler chiudere nell’isolamento ogni contatto con la Città. Le intenzioni del Piano, come continuazione del tessuto residenziale oltre via Gottardi, sono state poi tradita da queste pesanti sfrangiature ai margini.
Il nuovo corpo è pensato come elemento di ricucitura nel vuoto determinatosi e insieme di apertura verso la Città, per non essere un semplice ingresso al Campus. Innanzitutto è necessario un volume che completi la linea di edifici sulla strada dei Dipartimenti di Ingegneria, di proporzioni come l’edificio MO25 ed il successivo Ampliamento. Questo viene lanciato oltre il recinto del campus, protendendosi con un grande sbalzo verso via Gottardi, proprio per dare il senso di “entrare” nella Città, per voler essere l’Università che si apre alla Città e non solo segnare il più importante accesso all’Università stessa.
Il chiaro volume, massiccio e perfettamente squadrato, è interamente sollevato da terra e poggiato su una “scatola” di vetro scuro, arretrata ai lati ma che forma una “L” su via Gottardi, sia per definire anche un allineamento necessario, sia per realizzare all’interno una semi-corte aperta verso il verde circostante, quasi ad inglobarlo portandolo all’interno della hall, parzialmente a doppia altezza e illuminata da un grande lucernario che “buca” l’intero corpo sovrastante, dove sfalsamenti nei ballatoi a piastra dei due piani formano giochi di luce. Il corpo delle aule e delle relative zone studio, a due piani, oltre ad essere sopraelevato e sembrare quasi sospeso, dal lato opposto alla strada è interrotto da una grande vetrata, a lati e intradosso sguinciati, una sorta di portale che introduce all’edificio chi viene dal lato della campagna, percorrendo la pista ciclabile diagonale che taglia il tessuto urbano verso nord-ovest.
La superficie dell’edificio liscia, volutamente neutra rispetto alla presenza incombente della texture cellulare dell’edificio antistante, è scandita da pannelli in policarbonato che richiamano il colore della facciata degli edifici del 1° nucleo originario, ma soprattutto i blocchi di pietra del Duomo al centro di Modena, e vogliono così rappresentare la possanza del ruolo che l’Università ha nella diffusione del sapere e nella città. I pannelli possono illuminarsi dall’interno, nell’intercapedine con la parete interna, a segnare anche di notte la presenza all’ingresso del campus, o possono essere utilizzati come grandi “schermi” su cui proiettare.
Nella parte superiore dell’edificio troviamo le aule didattiche, due per piano contrapposte, una da 150 e una da 300 posti, che si aprono verso le grandi piastre di aree comuni, attrezzate con spazi di studio e locali di servizio organizzati ai lati in modo da affacciarsi su due grandi corti sfalsate, che si affacciano sulla hall e dove si articolano le rampe delle scale, attraversate indirettamente dalla luce che proviene dal lucernario e dalla vetrata laterale interna, mentre sul fronte d’ingresso, strette finestre sfalsate, alte e profonde, segnano questo e portano luce alle zone studio ed agli spazi comuni sui ballatoi di collegamento.
Il paesaggio entra dentro fino all’ingresso caratterizzando l’intero piano terra come una grande piazza che si estende fuori nel verde, con all’interno una grande aiuola alberata e spazi di sosta. Al centro l’invito alla scala è enfatizzato da un taglio diagonale, che si stringe fino all’attacco con la rampa e incanala verso la galleria delle zone studio, tra la strada e l’interno della semicorte che, come un porticato vetrato, abbraccia la vista del verde e sullo sfondo della città. Più a destra, ad angolo sul nuovo ingresso, si aprono la caffetteria e dietro i servizi. A sinistra troviamo l’aula da 200 posti, dietro la portineria e al centro un grande pannello a LED su una parete obliqua che informa sulla didattica e incanala verso il centro vitale della hall.
Lo spazio esterno è sistemato in tutta l’area fino ad incontrare la pista ciclabile, dalla quale un braccio la collega all’edificio e un altro esterno, nell’ampio marciapiede alberato sul piazzale, passa sotto sotto lo sbalzo del corpo aule ed entra nel Campus. Il taglio di questi percorsi, della pavimentazione, delle aiuole, costeggiate da lunghe panchine, altre ad una lunga lama d’acqua tangente alla galleria, segnano l’edificio, fino ad entrare dentro, intersecando a pettine obliquamente il viale alberato della pista ciclabile, seguendo la trama circostante. Si rafforza così un solido legame tra il campus ed il paesaggio, che attraversare la hall del nuovo edificio e porta il verde anche nella piazza antistante, ricucendo il vuoto generatosi dall’arretramento di Medicina Rigenerativa. Si crea così una nuova piazza, antistante l’ingresso, primo momento di socializzazione, spazio connettivo e di aggregazione, nodo centrale dell’intero sistema. Il sistema d’ingresso è segnato dal grande aggetto del corpo principale, che protraendosi verso la città, trasmette quel senso d’importanza, presenza ed apertura nella città dell’Università, punta avanzata di formazione e di ricerca scientifica e tecnologica. L’apertura verso la città è segnata anche da un sistema di recinzioni e cancellate trasparenti, con pannelli vetrati robusti e scorrevoli, attraverso cui abbracciare la vista di tutto il Campus, senza barriere. Si contrappone allo sbalzo un “totem” bidirezionale, che svetta a segnare l’accesso al Campus e diventa un land-mark urbano.
Crediti
Progetto: Giuseppe Pellitteri, Massimo Macaluso, Giulia De Francisci, Dario Riccobono
Concorso di progettazione
Nuovo complesso scolastico “Carracci”
Comune di Bologna
Bologna - 2018
A differenza dell’attuale edificio, il nuovo complesso scolastico Carracci dovrà costruire un rapporto con la Città e con il paesaggio. La collina segna infatti il margine sud-ovest di Bologna, in cui il quartiere Porto-Saragozza dirada l’insediamento residenziale fuori dalla cinta urbana. Tracce ben definite di un sistema di vegetazione e percorsi rurali, giustamente custoditi ed imbrigliati in un articolato sistema di parchi che puntano inequivocabilmente verso il centro della Città, segnano e avvolgono un sistema insediativo molto frammentato, fatto di blocchi articolati disordinatamente secondo l’andamento e le direttrici naturali, e generano una “fascia periurbana” tra città in espansione e campagna.
Il complesso da sostituire, non più adeguato alle funzioni oggi richieste, presenta una forma che nega un corretto rapporto con la collina su cui si adagia e si sviluppa contrariamente al tracciato orografico ed alle direttrici del paesaggio, costituendo una sorta di “piastra” compatta posta trasversalmente alla collina e di fatto una frattura nel tessuto periurbano del quartiere.
Il nuovo complesso potrà costituire un legame tra i due nuclei del quartiere, sviluppandosi linearmente lungo la direttrice di via Felice Battaglia, che collega via Saragozza con Via Ravone e costeggia il parco di Villa Benni, ricucendo il tessuto residenziale esterno e ricostruendo un rapporto interrotto dall’edificio scolastico esistente. Attraverso la nuova architettura si può esercitare quell’azione di ricucitura e di rigenerazione urbana necessaria al quartiere inserendolo compiutamente nel sistema dei parchi collinari a sud di Bologna.
I nuovi spazi connettivi dell’intero complesso rappresentano un percorso dinamico di crescita sociale e legame vitale col territorio, di cui la scuola è il cardine fondante. Il concept su cui si basa il progetto vuole esprimere tale rapporto inscindibile, attraverso l’articolazione di una serie di volumi che si poggiano su di un unico corpo comune, posto parallelamente alla strada pedonale parallela a via Ravone, che costeggia il Giardino Dotti sul proseguimento di via Felice Battaglia, seguendo perfettamente la giacitura del piede della collina. Un volume che asseconda la collina, a livello superiore viene traslato per spingersi a sbalzo sulla valle, ad abbracciarla prospetticamente spingendosi verso il parco circostante; poi, una serie di tagli e sottrazioni di elementi creano quelle “bucature” verticali, necessarie a richiamare la frammentazione dei blocchi residenziali tipica del luogo, oltre a realizzare le connessioni vitali con la collina, i cui spazi entrano così nella scuola; infine la rotazione dei blocchi aggettanti, ammorsati a monte nella collina, creano variazioni prospettiche ricorrenti nella zona.
Le articolazioni volumetriche sono orientate e ritmate tenendo conto degli ambiti spaziali definiti già dal paesaggio, nel rispetto della vegetazione esistente, non solo di quella da conservare, ma anche di tutto quanto già sviluppato, riconoscendo in essa il valore inscindibile di un sistema da tutelare, fondante per la nuova architettura progettata. Il rispetto di tale valore paesaggistico si estrinsecherà non solo nel mantenere il più possibile la vegetazione esistente, ma nell’impiantare quella necessaria in piena sintonia con i caratteri del parco integrandola con le aree funzionali e i percorsi esterni al nuovo edificio.
I volumi a sbalzo posti superiormente accolgono la scuola secondaria di I° e differenti spazi comuni, e sono collegati direttamente, quasi ammorsati, al terreno retrostante, dove tra la vegetazione della campagna collinare sono allocate le attività didattiche all’aperto. A livello inferiore si sviluppa una vera e propria “galleria” che dall’atrio d’ingresso, più vicino alla Città, porta fino al lato opposto del lotto, dove inizia il nucleo abitato attorno a via Ravone, terminando con la palestra seminterrata. Tale volume lineare collega sia longitudinalmente che verticalmente tutte le diverse funzioni e attività scolastiche: a piano terra con un sistema di corti aperte verso la collina, dedicate ad appositi spazi formativi; superiormente, con un sistema di ballatoi che collega gli sbalzi, dalle cui ampie vetrate si domina la vallata e nei quali si svolgono separatamente attività comuni a diretto contatto con il paesaggio urbano e l’ambiente naturale.
Una dilatazione iniziale dello spazio comune, che va restringendosi verso il lato opposto all’ingresso, realizzerà l’Agorà, spazio fondamentale nelle concezioni scolastiche più innovative, intesa però come una vera e propria piazza urbana, posta tra un porticato ed una serie di edifici sovrastanti ed allineati, volendo avvicinare dentro e fuori l’edificio scolastico il cuore di Bologna, vincendo il naturale isolamento che la periferia, in quanto tale, tende a marcare. La fine di questa galleria, che vuole rappresentare una delle tipiche vie cittadine, è segnata verso la parte opposta alla Città da una torre che oltre a riportare alla contemporaneità un segno storico, servirà da “torre di ventilazione” di un edificio ad alte prestazioni energetiche, sfruttando in primo luogo la sua architettura. Tale evocativo landmark urbano segnerà non solo l’importante presenza di una scuola nel quartiere, ma sarà anche un elemento architettonico estremamente funzionale. Stesso discorso vale per la rilettura del carattere dei luoghi in chiave urbana, utilizzando per i blocchi aggettanti pareti ventilate con rivestimento in laterizio, coperture con tessere fotovoltaiche e schermature isolanti lamellari, che reinterpretano in chiave innovativa e funzionale energetica gli elementi base dell’insediamento della Città.
La lunga “galleria” costituisce pertanto il connettivo dell’intero complesso, destinato ad accogliere le aule e le funzioni comuni, separatamente delle due scuole: a piano terra la Primaria (con 5 classi di 27 alunni) e a piano primo la Secondaria di I° (con 9 classi di 30 alunni). L’Agorà è il nodo centrale dell’intero sistema: “Luogo della comunità scolastica tutta. Ambiente per la condivisione di eventi aperti anche al territorio”. Essa stringe un legame indissolubile con la natura e la terra che l’avvolgono e si fondono ad essa: inferiormente con le due corti “spazio della scoperta e dell’esplorazione del mondo”; superiormente dal terrazzamento ottenuto a contatto con i corpi delle aule della Secondaria e con la Biblioteca, abbracciando così con lo sguardo verso l’alto tutta la campagna della collina.
Verso l’atrio, a dilatare ancor più lo spazio comune dell’Agorà, si trova la Mensa, con le sue pareti vetrate sia verso l’esterno sulla vallata, sia verso l’interno nell’Agorà stessa. Così posta, la mensa in effetti è uno spazio aperto, dove gli studenti possono consumare il pasto nell’orario stabilito, ma i cui arredi mobili possono essere riposizionati e disporsi diversamente per usarli in momenti informali o per lo studio sia individuale sia in gruppo: “Luogo in cui i gruppi di studenti si raccolgono e costruiscono la propria identità”.
Dal lato opposto alla mensa vicino all’ingresso, sono ubicati gli spazi destinati agli insegnanti e al personale, e l’area comune a servizio della Primaria. Subito dopo, al centro della Agorà c’è la grande scala che porta al piano superiore dove si articolano gli spazi destinati alla Secondaria, a diretto contatto anch’essi con il verde della retrostante campagna, sfruttando così il declivio naturale del terreno, che verrà ripristinato dopo la demolizione dell’edificio esistente per raccordarlo con le aree già piantumate, da destinare ad aree esterne a servizio della scuola, seguendo il naturale declivio. Fondamentale è il ruolo centrale d’incontro costituito dalla scala, che con i ballatoi e le piastre superiori di raccordo, non è solo elemento di passaggio e transito ma parte integrante di un ambiente abitabile e vissuto in continuità tra sopra e sotto, tra ambienti chiusi e ambienti aperti, tra ambienti formali e ambienti informali.
Prima della palestra, a piano terra, un piccolo “anfiteatro” che può accogliere varie forme di intrattenimento o spettacolo volgendo le spalle alla corte alberata e avendo sempre come fondale l’intera vallata, costituisce secondo gli indirizzi più innovativi un luogo fondamentale per la “Presentazione di lavori individuali o di gruppo” e sarà munito anche dei più avanzati strumenti di visualizzazione condivisa. Lo stesso spazio, come gli altri ambienti comuni, si presta ad essere utilizzato anche come spazio informale e di relax, “luogo dell’incontro informale e del riposo…per leggere, parlare, ascoltare musica”.
Infine la palestra, la cui necessaria maggiore altezza è ottenuta spingendo l’intero corpo in profondità, raggiungibile da un’apposita rampa di scala e ascensore, sarà coperta da un tetto-giardino in continuità con la campagna, che ospiterà l’orto didattico, tagliato da lucernari illumineranno dall’alto l’ambiente sottostante. Essa sarà raggiungibile anche dall’esterno tramite un proprio ingresso indipendente, per un eventuale utilizzo extrascolastico.
Crediti
Progetto: Giuseppe Pellitteri, Massimo Macaluso, Giulia De Francisci, Dario Riccobono
Concorso di progettazione
Scuola innovativa dell’infanzia
Comune di Lurago d’Erba
Lurago d’Erba (CO) - 2018
La cascina rurale, archetipo residenziale del nucleo urbano di Lurago, diventa la capanna nell’immaginario infantile, dove rifugiarsi in un paesaggio di luci, di colori, di giochi, di figure, di alberi, di suoni, di favola, il primo e più importante insegnamento di vita. La natura entra tra le case e lo sguardo del bambino travalica i confini delle pareti, va oltre i limiti della piazza, dando un senso ancora più aperto allo stare insieme per imparare giocando. Lo sviluppo quasi radiale del centro abitato, trova nel luogo scelto il modo di riproporre l’aggregazione quasi in linea delle case vicine, recuperando un rapporto col territorio agricolo lì ancora aperto e vivo, nonostante la poco appropriata presenza dei contigui edifici della Palestra e della Mensa. Due linee di case si inclinano per seguire i segni del terreno e si spezzano per recuperare il carattere frammentato, tipico dei villaggi del comprensorio di Lurago. Il paesaggio agricolo entra tra le “cascine” della scuola caratterizzando l’Agorà: più di uno spazio urbano è un cortile alberato. Il paesaggio rurale e un’architettura a misura di bambino sono gli elementi cardine del progetto, che segue i nuovi orientamenti pedagogici, col presupposto di definire spazi armoniosi, confortevoli (cfr. INDIRE, Spazi Educativi per la Scuola del Terzo Millennio e MIUR, Linee Guida Scuole Innovative), affidando il ruolo di attore/protagonista al bambino ed al suo apprendimento. Egli sarà immerso in spazi flessibili, in cui con gli altri e gli insegnanti può apprendere, collaborare, confrontarsi, in modo familiare e giocoso, mantenendo il contatto con la natura ed avvalendosi di tecnologie digitali.
La grande Agorà è il connettivo delle cellule che formano il villaggio della nuova scuola, è il nodo centrale dell’intero sistema, luogo di aggregazione, legame indissolubile con la natura e la terra che l’avvolgono ed entrano ovunque. Lì è possibile svolgere attività di gioco e didattiche, per mezzo di schermi LED interattivi, di spazi collettivi e individuali, di forme geometriche elementari da studiare, che segnano e differenziano le 5 sezioni e gli spazi comuni.
Il centro degli “spazi educativi” intesi in modo innovativo è un corpo, vicino all’ingresso ed aperto sull’Agorà, con:
la MENSA, dove si consumano i pasti preparati altrove;
la CUCINA-LAB, dove i bambini costruiscono e sperimentano il proprio rapporto con il cibo;
l’ESPLORAZIONE e scoperta del mondo, le cui pareti sono grandi schermi multimediali interattivi, pensati per l’incontro con l’arte, la musica e la scienza;
lo spazio di GRUPPO, in cui i bambini si raccolgono e costruiscono la propria identità;
lo spazio INFORMALE, per l’incontro e il riposo, per leggere, parlare e ascoltare la musica.
In continuità con la concezione innovativa della didattica dell’infanzia, gli spazi assegnati alle 5 sezioni, dimensionati secondo le indicazioni minime date dal DM 18.12.1975 ed arricchiti dagli “spazi educativi” suggeriti dai più recenti indirizzi, prevedono ambienti per la didattica quotidiana di non più di 30 alunni ciascuna, per:
ATTIVITÀ LIBERE, individuali o in piccoli e grandi gruppi, anche motorie controllate;
ATTIVITÀ ORDINATE e SPECIALI, separabili dalle prime, per gruppi limitati, un “mini-atelier” all’interno dell’aula;
lo SPOGLIATOIO, spazio d’ingresso all’aula e passaggio, di filtro con l’Agorà, in cui genitori e personale possono aiutare i bambini a vestirsi e rivestirsi;
i SERVIZI IGIENICI, a contatto con l’ingresso-spogliatoio, ma anche il luogo ove si sperimenta l’igiene personale e l’uso dell’acqua, proprio uno spazio per i GIOCHI D’ACQUA.
All’esterno i bambini entrano a contatto con la natura e, attraverso il gioco e la didattica all’aperto, sviluppano conoscenza motoria, verbale, non verbale ed emotivo-affettiva. Si individuano 3 aree, collegate con l’Agorà e a contatto con le sezioni e con lo spazio collettivo:
l’ECO-LAB, fatto di orti didattici, giardino delle essenze, percorso sensoriale, parco delle forme e un teatro all’aperto, mira allo sviluppo della sensorialità;
lo Spazio Didattico, leggere strutture mobili con tavoli e sedute in cui si può socializzare e svolgere attività formative varie;
il Playground, in cui il bambino è libero di muoversi e giocare all’aria aperta, con una pista per tricicli e sedute per la didattica.
Crediti
Progetto: Giuseppe Pellitteri, Dario Riccobono, Federica Sferrazza, Massimo Macaluso
Collaboratori: Giulia De Francisci
Design competition
Breathe - urban village in the central city
Christchurch city council
Christchurch, New Zeland - 2013
The concept of the residential development designed was thought according to Recovery Plan for developing a greener, more accessible city with a compact core and a strong built identity, making it a great new place for living. The project provides to define a regenerated business area with greater opportunities for high quality inner city living, also making this area more attractive for residential development. Indeed the area around Latimer Square plays an important role in the Central Christchurch and it is an area rich in Māori and European history. Latimer Square is an historical open space born after 1850 according to mid-Victorian social values of community and reflecting in the concept of the green with key institutions and residential neighborhoods surrounding it. Even if there are no more the earliest buildings in this part of the city, especially after the recent earthquakes, the urban landscape among the Avon River and the east side of Latimer Square still has the same features of its plant.
Residential buildings are internal to the rectangular areas enclosed by streets and arranged in two groups of sites parallel whit the short side facing the street. One building in each site is generally arranged set back from the side of the street and perpendicular to it. Buildings have few floors and shapes variously articulated. Their arrangement gives the urban landscape a very fragmented and sparse, even for the destruction due to the earthquake. There are many open spaces that are articulated in various ways throughout each whole area. Before the residential areas were dominated by timber, single and two-storey villas and worker cottages that defined the character of the area. Latimer Square was used as an early sports ground, for open-air meetings, political rallies and as a communal area for recreation. To the north the Avon River (Ōtākaro) gives the place spiritual significant and the site for the new urban village is located within the vicinity of a Māori’s settlement site (Tautahi’s Pa) that gave the name to Christchurch (Ōtautahi).
This traditional settlement site is significant and the diverse influences that have shaped the city throughout its rich history will also influence its future. Our project is to understand the signs of the landscape, interpreting and using them to rewrite the city's rebirth after the earthquake. The fragmented nature of the urban context suggested to propose isolated buildings variously articulated in the site, with no more than two floors, ranged in groups of two or three, and connected only by an external staircase.
On the façades of each building windows and lodges are irregularly distributed to at the various floors, proposing the variety of situations readable in existing buildings of the neighborhood. The ground floors sometimes have parts of the façade back to the upper floors, making a greater connection with the external private space and a shelter of the living spaces at this level.
The fragmented articulation of the dwellings, played with setbacks, offsets and projections, repeats the scattered and sparse nature of the urban landscape in the central city. But the plot of sites and the direction in which the buildings are inserted created the need to give an order to the whole development, emphasizing the sense of buildings repetition in two rows perpendicular to the side of the streets and marking the limit of the original sites through a wall that connects visually groups of buildings.
The walls holed draw a double layer of windows that shield and look at each other, but these ones makes visible and open all the houses, creating a network of visual connections and walkways, filtered by common and private green areas. Communal external spaces neatly interweave based on two path grids that go across the settlement, between Armagh Street and Gloucester Street, or longitudinally, between Madras Street and Barbadoes Street. Indeed the walls give more privacy and serves to attenuate noise and control light pollution between dwellings and from the streets. The walls, forming a comb from the central axis of the whole area, are the rule ordering and hinges upon the buildings into the urban texture typical of the central city. They are also the branches of a tree in which the leaves are hung. The wall symbolizes the real limit of the houses, and in the Māori’s culture is the darkness (Te Pō) behind which is the light of the world (Te Ao Mōrama) which is not only the inside of the house, but also the green private space between it and the wall, which is then connected directly and ideally to the house, to become "the mother earth" (Papatūānuku).
The New Village is also the metaphor of the Māori world, whose direct image is reinforced by some direct signs, such as the triangular plaza which cuts it centrally looking at both the Frame and Latimer Square. This space is a “fern leaf” planted at the center of the development and pointing directly to the Frame, symbolizing its vitality that takes from the green its way to be, both through the vegetation and the texture of the flooring.
The “leaf” switches and infiltrates under the block on the corner of Latimer Square and Madras Street, for businesses and restaurant, which reverses the system of relationships among the residential buildings and the external spaces. Its architecture is disjointed at the ground floor, where in retreat from the upper floors there are some shops and a cafeteria.
The compact body, such as the walls in front of rows of residential buildings, are located above, suspended at the top and enclosing a roof garden that can be seen from the street through the windows of the walls, creating an ideal and visual continuity with the Frame and Latimer Square.
Attached to the row of houses to the north-west of Madras Street, the services block stretches out the wall and lets the trees embedding. A suspended walkway connects the central staircase with this green terrace, creating a continuous path that immediately takes the visitors from the near Frame to dominate it. This system of connections gets people back into the city to enjoy the amenity of the Frame. In this way the New Village will offer opportunities for the required high-quality and medium density residential development in central Christchurch. The site will be well-connected to open space, public transport, main transport routes, and other facilities.
The inner core of the development falls on Gresson Line and marks the ideal transition to the rest of the neighborhood, the beginning of a possible further development or significant point of the settlement, where the "wind tower" is near located. This plays a central role, because it captures the cooling air that is brought to the houses through channels walking under the floor, in the cover of the basement with the parking. The heat product is recovered and reused in the winter or bringing cooler air in the summer.
Such an important role in improving the livability and comfort, making the development more sustainable, the “wind tower” gives the opportunity to be remarked in the city. Its orientation is designed to be visible from Latimer Square as well as the Frame, which it can be thought as the logical continuation, adding visual and open space amenity and articulating the community vision for a green, distinctive, vibrant and accessible city. It is an urban land-mark that as well as marks the strong link among the New Village and central Christchurch, through the Frame. It remembers the history and the Māori culture, symbolizing a totem (Pouwhenua) that rapresents the association between the people (Tāngata) and the land (Whenua), reflecting the relationship between the ancestors and the environment.
Credits
Project: Giuseppe Pellitteri, Angelo Ferrara, Antonio Martorana, Dario Riccobono, Viviana Schimmenti
Concorso di progettazione
Nuovo complesso parrocchiale Redemptoris Mater
Arcidiocesi di Monreale
Cinisi (PA) - 2015
Destinando l’area interessata all’edificazione del complesso “Redemptoris Mater”, la Parrocchia “Ecce Homo” di Cinisi sembra aver voluto sottrarre al paesaggio circostante un tassello significativo del territorio. Continuare ad escludere il paesaggio, segno identificativo dell’Infinito, e chiudersi entro un recinto, negando i basilari principi fondativi dell’edificio cristiano, è contrario al desiderio della comunità e ad ogni senso ecclesiale.
Il progetto vuole essere allora un momento di rifondazione della comunità pastorale di Cinisi, di maggiore condivisione di un cammino spirituale intrapreso. Del resto lo stesso nome di Cinisi potrebbe significare dall’arabo territorio appartenente alla Chiesa, quasi a voler preconizzare il ruolo di riscatto che può avere la Chiesa nel contrastare gli eventi malavitosi che hanno martoriato queste terre. La montagna sovrastante la campagna, resa purtroppo nota per essere stata protagonista di tragedie legate ad una scelta inopportuna, quella del vicinissimo aeroporto, può rappresentare un baluardo in cui la Chiesa sia il concreto riferimento spirituale e sociale per la comunità tutta. La presente solidità ed il richiamo perenne verso l’Alto delle cime di “Montagna Longa”, lascia cadere e precipitare ai suoi piedi alcuni pezzi, schegge di roccia che si piantano nel terreno, pietre vive che edificano il Tempio di Dio. L’edificio progettato corrisponde alla comprensione che la Chiesa, popolo di Dio, ha di se stessa nel tempo: le sue forme concrete sono immagine di questa autocomprensione. Il suo aspetto solido e atemporale ha la pretesa di interpretare ed esprimere simbolicamente l'economia della salvezza dell'uomo, divenendo visibile profezia dell'universo redento, non più sottomesso alla caducità (Lettere ai Romani, 8,19-21).La forza e la solennità della Chiesa è quindi sottolineata da un ammasso roccioso, unitario ma frammentato, ancorato a terra ma spinto anche verso l’alto: è il caposaldo della fede, deve trasmettere certezze.
La Chiesa è mistero di comunione e popolo di Dio pellegrinante verso la Gerusalemme celeste (SC 6.10; LG 4.9.13; GS 40.43). Una fenditura centrale segna ed accoglie all’ingresso; poi, avvicinandosi all’area presbiteriale, si è spinti verso l’alto dalla luce che taglia la parete absidale e, puntando verso la montagna, la lascia vedere sullo sfondo, in un moto verso l’Alto. Immediatamente a fianco, il Crocifisso ligneo seicentesco, ricollocato com’era, può diventare un segno della Sua resurrezione. Alle spalle a destra, la custodia eucaristica. L’aula liturgica è in realtà composta da due più grandi navate, quasi a voler rileggere nella contemporaneità l’impianto classico e atemporale della basilica cristiana. Ai lati uno dei quattro frammenti rocciosi, verso la strada, individua una navatella, ove sono la cappella feriale e dell’Adorazione, mentre al lato opposto, verso l’interno, vi sono la sagrestia, con gli uffici, una nursery e i servizi per i fedeli. Entrambi i corpi laterali sono anche accessibili da ingressi autonomi, mentre ai lati dell’ingresso centrale troviamo a sinistra la penitenzieria e a destra il battistero, in una grande nicchia, che dall’esterno si stacca da terra e che contiene il fonte battesimale e una vasca per l’immersione.
L’intervento artistico, che prevedrà l’inserimento di un apparato iconografico, indispensabile per la funzione ecclesiale e liturgica, è parte integrante del progetto architettonico è svilupperà il tema Mariano, integrandolo, con vetrate stampate nelle bucature che “scheggiano” le pareti e con pannelli integrati nei rivestimenti, tematizzati a seconda dello spazio o arredo di riferimento. Il complesso degli spazi più propriamente liturgici, la cui altezza in nessuno dei suoi punti più alti supererà gli 11,00 m, ha l’asse principale in direzione est-ovest, anche per essere meglio visibile da chi arriva sia dall’attuale strada di accesso che dalla nuova via prevista dal PRG. In questa direzione introduce alla chiesa il sagrato, una fascia pavimentata in pietra, che con solennità attraversa il portale d’ingresso, in bronzo e inciso, continuando quasi con naturalezza all’interno dell’aula fino all’altare. Il corpo è volutamente staccato dagli edifici accessori, per essere collocato al centro della campagna, liberandosi di tutti i suoi confini fisici e aprendosi al territorio.
Gli spazi destinati al ministero pastorale sono costituiti da due corpi, realizzabili anche in tempi differenti rispetto alla chiesa; quello delle aule in uno nuovo che sostituirà l’attuale, ma sarà molto più aperto, con vetrate e camminamenti coperti, per realizzare un collegamento con la casa canonica, che deve rimanere, ma che viene rivestita con brise-soleil in legno, per uniformarne l’aspetto e renderlo accettabile e coerente con le nuove architetture. Le ampie vetrate, oltre che guardare la chiesa, mettono in comunicazione continua le attività catechistiche con la campagna, dove una giardino continuo di ulivi farà da tessuto connettivo. II Signore tuo Dio sta per farti entrare in un paese fertile … paese di ulivi (Dt 8,8;2 Re 18,32) e il popolo eletto è come un olivo verdeggiante (Ger 11,16). Tra gli ulivi troverà anche posto il monumento alla Madonna “Redemptoris Mater” ed una piccola area per le celebrazioni all’aperto, con la Madonna dell’Accoglienza. L’altro corpo, prossimo all’ingresso all’area, è quello del salone parrocchiale, con i relativi spazi e servizi, che può essere cosi utilizzato autonomamente, ma che comunque risulta ben collegato sia alla canonica, che al resto delle aule.
Staccato dalla chiesa, come una torre tralicciata delle tante visibili nella campagna, il campanile sarà così in secondo piano, per accogliere le campane già presenti nella chiesa attuale, lasciandola sempre in primo piano, senza coprirla.
Crediti
Progetto: Giuseppe Pellitteri
Collaboratori: Angela Verduci, Flavia Belvedere, Guglielmo Pristeri
Concorso di progettazione
Riqualificazione urbana e artistica
Lions Club Agrigento Host - Comune di Agrigento
Agrigento - 2004
La Stazione sorta negli anni ’20 viene ora percepita come un approdo temporaneo alla città e al suo mitico territorio; non un saldo baluardo che ha sostituito quelli costruiti dalle più antiche generazioni. Saldare stabilmente questo pregevole edificio al luogo, riavvicinarlo alla città, significa restituire il senso della sua presenza urbana e dell’apertura al territorio ed alla sua storia. La proposta dell’intervento deriva quindi da un gesto chiaro: eliminare ogni frattura tra questo apparato, simbolo del collegamento col mondo esterno, e restituire al luogo la sua identità perduta. Da via delle Torri il traffico può essere portato ad un livello sottostante, che è poi quello del piano della ferrovia, per riemergere quasi di fronte a Viale della Vittoria. Un unico piano, ora esclusivamente pedonale può avvolgere completamente la Stazione con la sua pregevole maestosità di classica architettura moderna, accorciando le distanze tra la Piazza e le due sue terrazze, che andrebbero aperte alla vita della Stazione stessa. Una piazza al centro aperta e trasparente nei confronti di un’altra piazza sottostante, dove si svolge la vera e propria vita legata agli spostamenti che la Stazione o la città devono comunque fare e gestire nel quotidiano. Un attraversamento verticale che dilata e “alleggerisce” lo spazio di fronte all’edificio, rapportandosi con la sua centralità alla compagine perfettamente simmetrica delle forme classicheggianti del suo fronte, e si proietta verso l’alto con i suoi getti a fontana.
Concorso di progettazione
Complesso parrocchiale di San Paride
Diocesi di Teano
Teano (CE) - 2015
L’area individuata dalla Diocesi si trova nella campagna di Teano, nei pressi dello Scalo, interna e arretrata rispetto a parti più riconoscibili dl territorio. Il paesaggio circostante è agrario, con macchie di coltivazione arboree e sfondi collinari. La dedicazione a San Paride e la sua presenza con i caratteri romanici nella basilica di San Paride ad Fontem, isolata nella campagna ma legata al centro ed al culto, suggeriscono di richiamare, ridiscutendolo e riscrivendolo, l’impianto basilicale romanico con la sua sintassi: il quadrato del chiostro, allineato col tessuto delle piantumazioni vicine e con la trama dei percorsi campestri, viene attraversato e spaccato in due da un ideale prolungamento della direzione che lo congiunge con Teano Scalo. La forza e la solennità dell’elemento “chiesa” è sottolineata da un volume unitario, compatto, spinto verso l’alto e incardinato a terra in corrispondenza dell’area presbiteriale. La luce che lambisce la parete “spinge” i fedeli verso l’alto dove la sospensione al cielo di un Cristo bronzeo sembra segnare la Sua resurrezione.
Crediti
Progetto: Giuseppe Pellitteri, Dario Riccobono
Riuso a Biblioteca del Plesso Scolastico di Piazza Matteotti
Comune di Palma di Montechiaro
Palma di Montechiaro (AG) - 2007
Il progetto di recupero e riuso della ex Casa del Fascio, destinata a Biblioteca Comunale e Polo giovanile, coinvolge l’intorno edificato e la piazza. L’idea del progetto nasce dall’esigenza di creare un luogo dedicato ai giovani: uno spazio di cultura in cui possano confrontarsi socialmente e creativamente. Il progetto di recupero, in sostanza, conserva il valore della preesistenza mantenendo l’impianto strutturale originario e valorizzando il prospetto nella sua integrità formale e materiale: le trasformazioni sono state pensate come coerenti variazioni all’interno della forma stessa, senza snaturarne le sue caratteristiche costruttive fondamentali. Viene mantenuto l’ingombro del corpo basso antistante la biblioteca, la nuova struttura assume la funzione fojer e di ingresso principale. La rampa di ingresso si interseca tra piazza ed edificio, lega l’edificio alla piazza e penetra nello stesso, segnando un percorso voluto indipendentemente da quello che si svolge nei due livelli superiori. La disposizione dei tramezzi crea percorsi flessibili per visitare l’edificio, consultare i libri ed ammirare le esposizioni. La distribuzione interna si articola nell’incontro di linee rette spezzate che formano “recinti”.
Crediti
Progetto: Giuseppe Pellitteri, Dario Riccobono
Rifunzionalizzazione dei Plessi Scolastici Lipparini-Miccichè
DARC Regione Siciliana – Comune di Scicli
Scicli (RG) - 2009
“La forma dell’acqua” è il motto di questo concorso d’idee nonché il titolo di uno dei primi scritti di Andrea Camilleri (1994) che apre la lunga serie di episodi del “Commissario Montalbano” e che, in seguito, nella sua edizione televisiva trova in Scicli una location d’eccezione. La presenza della fiumara ha definito l’andamento del tessuto urbano nel tempo e, ancora oggi, la forma dell’alveo, che negli anni è stato progressivamente interrato, è perfettamente leggibile nell’impianto urbano. Il progetto rivaluta l’antico corso dell’acqua in quella che oggi è Piazza Italia. Le sue tracce dissotterrate permettono di configurare, secondo un ordine gerarchico, nuovi ambiti e permettono di distinguere spazialità e funzionalità: la piazza vera e propria antistante alla chiesa, i percorsi carrabili da un lato e pedonali dall’altro, e una cavea per manifestazioni all’aperto.Tutti questi elementi e il ponte sovrastante che attraversa l’alveo allineandosi al vecchio tracciato “danno forma all’acqua” e gravitano attorno ad essa. La forma dell’acqua” non è soltanto “il segno” che connota lo spazio urbano, ma è anche materia; questa, riaffiorando in superficie in un grande specchio sfiora e distingue i diversi ambiti della cavea e, soprattutto, riconsegna alla città un valore dimenticato nel tempo: la fiumara ormai coperta. La gradonata che parte dal sagrato e che scende nel letto dell’alveo del torrente crea una cavea che unifica i due estremi longitudinali della piazza, in continuità con il sagrato stesso. Reinterpreta il significato dell’antico alveo del torrente: così come quello raccoglieva l’acqua della fiumara, la cavea, oggi, accoglie la cittadinanza divenendo luogo di aggregazione e socializzazione. Dà “forma all’acqua” in un grande specchio che riflette il sole, il cielo. Il progetto è stato ammesso alla fase finale.
Crediti
Progetto: Giuseppe Pellitteri, Dario Riccobono, Alessio Pallozzi Lavorante
Concorso di progettazione
The Egyptian Ministry of Culture
Giza (Egypt) - 2002
La necessità di creare una forte immagine del Museo che segni il territorio e offre una sensazionale idea di apertura verso le vicine Piramidi. Il Grand Egyptian Museum è stato infatti pensato come una struttura complessa, i cui elementi si caratterizzano con una propria identità, e concorrono a creare un unico tessuto urbano con le aree vicine alla Alexandria-Cariro Deserty Road e con gli edifici della piana del quartiere di Al Remaiah. L’enorme edificio è pensato come la struttura di una Piramide, il cui tesoro è esposto al suo interno, come un segreto da rivelare al pubblico che entra nel Grand Egyptian Museum: una grande piazza precede l’ingresso al visitatore, che una volta entrato percepisce una realtà stupefacente, con forte espressività tecnologica e un ambiente di acqua, verde, muri e spazi di aggregazione, che stimolano la curiosità del visitatore che vuole conoscere la storia dell’antico Egitto. Gli itinerari espositivi si sviluppano su grandi piani inclinati, all’interno dei quattro blocchi sfalsati in arretramento verso l’alto, come una Piramide, attraversati da percorsi storici lineari che li collegano tematicamente, creando per la loro ampiezza una sorta di Parco Museale al chiuso.
Crediti:
Progetto: Giuseppe Pellitteri, Dario Riccobono
Allestimenti: Enzo Venezia